6 Giugno 2018
Mi chiamo Pecchio (all'anagrafe: Luca Lapi).
Sono nato il 17 Marzo 1963.
Sono giovane?
Penso di no nella misura in cui lo è, biologicamente, chi ha un'età compresa tra 0 e 50 anni, ma la domanda più importante è: mi sento giovane?
Penso di sì, ma temo anche di no, nella misura in cui è giovane chi si sente, psicologicamente, tale, indipendentemente dall'età biologica, a suo agio con chiunque e riesce, spontaneamente, a stabilire con chiunque rapporti di reciproca fiducia che sappiano affrontare la prova del tempo, vittoriosamente.
Penso di sì perché mi sento, ad es., più a mio agio con chi è, attualmente, coetaneo del mio babbo (ultraottantenne), ma la mia predilezione è per gli ultranovantenni.
Temo di no perché, salvo poche eccezioni, mi sento più a disagio con chi è più vicino alla mia età, mio coetaneo, soprattutto.
Perché mi sono trovato in queste situazioni?
Sono disabile (con Paralisi Congenita Ad Arti Inferiori, Sfinteri E Vescica).
Ripeto: perché mi sono trovato in queste situazioni?
Sono convinto di trovare risposta nella diversa sensibilità dei miei interlocutori (femmine e maschi).
I genitori dei miei "amici" restavano, infatti, coi miei genitori e con me senza isolarmi ed io coi genitori dei miei "amici" e coi miei genitori senza sentirmi isolato.
I miei "amici m'isolavano, invece (forse, involontariamente): era ovvio che preferissero giochi motori anziché sedentari.
Occorre che apra una parentesi sulle mie disabilità, ora.
L'esperienza che ne è derivata mi ha portato a considerare, inizialmente, questa mia condizione genetica un problema con cui sarei stato costretto, per sempre, a convivere e, convivendoci, mi avrebbe portato ad autocommiserarmi, spesso.
Mi ha portato a non vederne, da piccolo, che i lati negativi: sedia a rotelle che consideravo vergogna a motivo del dito puntato dai bambini normodotati più piccoli contro di me, incontrandomi, non potere fare ciò che altri potevano quando e quanto volevano, ma, a posteriori, a vederne anche i lati positivi: le mie disabilità possono essere risorse a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere.
Mi ha portato, in altre parole, ad intravedere le diverse abilità, apparentemente, nascoste nelle mie disabilità: non posso camminare con le gambe, ma con la mente, col Cuore e con l'Anima.
Ho capito tutto, da adulto, delle mie disabilità: le ho accettate e, grazie alla mia fede cristiana, le ho accolte come doni d'amore misteriosi di Dio Padre, non Suoi castighi.
Non mi vergogno più, perciò, incontrando, oggi, sulla mia sedia a rotelle, bambini normodotati che si comportano come quelli di un tempo: non provo che dispiacere, non per me, ma per codesti bambini che considero insufficientemente educati dai genitori o dalla scuola al rispetto per tutti.
Provo dispiacere, inoltre, per tutti i bambini e adulti che convivono, con disagio, con la
loro diversità fisica e che, a motivo delle loro emotività e sensibilità, soffrono dinanzi ad esternazioni, più o meno innocenti, di alcuni bambini normodotati verso di loro.
Ho imparato, col tempo, in qualche modo, ad ignorare tali esternazioni, ma penso che molti altri bambini e adulti disabili non ci siano riusciti e mi sento solidale con ciascuno di loro, perciò.
Non intendo dire che, oggi, quelle esternazioni mi avviliscano, quando dico "...IN QUALCHE MODO...", ma, piuttosto, il constatare che mi piovano addosso in momenti e/o periodi di sofferenza a causa dell'isolamento impostomi da chi, normodotati, consideravo amici.
L'ironia è che loro non arrivino ad accorgersi di essere responsabili del mio isolamento.
Si tende a educare, giustamente, scolari e studenti al rispetto verso gli extracomunitari, loro compagni di classe, ma si tende a trascurare l'educazione al rispetto dei disabili.
Mi chiedo e chiedo, perciò, che si possa fare affinché, un giorno, ciò che ho descritto non accada più.
Appaio ossessionato, ma non mi pare esagerato pensare che il dito puntato dai bambini normodotati contro i "disabili" possa diventare, un giorno, senza un'adeguata educazione in merito, una mano che impugna una vera e propria arma pronta a sparare contro chi è colpevole, solo, della sua diversità fisica.
Sono più sensibile verso chi vive situazioni di disagio peggiori.
La percezione della mia sensibilità è stata importante.
Ripeto, infatti, che ho recepito le mie diversità fisiche non più come problemi, ma risorse da porre a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere.
Apro una parentesi.
Ho definito le diverse abilità:"RICCHEZZE DA CONDIVIDERE".
Anche affetto, amicizia ed amore lo sarebbero, ma c'inducono a chiuderci in noi come se temessimo che, condividendoli, possano volatilizzarsi, quando li si prova.
Si degenera, così, da affetto, amicizia ed amore reciproci in egoismo di coppia o, addirittura, di gruppo.
Si degenera da "CONDIVISIONE" in "DIVISIONE".
Dico, alla maniera di Adriano Celentano:"DIVISIONE è lenta e CONDIVISIONE è rock".
"CONDIVISIONE" è assente giustificata a lezioni dell'Università dell'Età Libera della Vita, purtroppo.
Troppi si giustificano: "Sono sano: non ho tempo per malati; sono normodotato: non ho tempo per per chi abbia difficoltà fisiche; sono studente, studioso: non ho tempo per gli ignoranti, per chi abbia smesso di studiare, per chi abbia finito di studiare; sono lavoratore: non ho tempo per disoccupati, licenziati, pensionati; sono accoppiato, sposato, convivente: non ho tempo per i "single", per i separati, per i divorziati; sono genitore: non ho tempo per chi non lo è; sono figlio: non ho tempo per gli orfani!"
La "CONDIVISIONE" soccombe quando chiunque abbia responsabilità educatrici civili o religiose non provvede affinché ciò che ho descritto non accada più.
Chiudo la parentesi.
Mi convinco, infatti, che il mio nascere con la Paralisi Ad Arti Inferiori, Sfinteri E Vescica corrisponda a misteriosi doni di Dio Padre che mi svela, di volta in volta, particolari sia negativi, in parte, relativamente, minore, sia positivi, in parte, infinitamente, maggiore.
Non posso che affidarmi a Lui: ne sono contento, ma questa mia dichiarazione m'induce a continuare a riflettere.
La mia fede m'induce a pensare, in futuro, ad un disegno di Dio Padre di mia guarigione dalla disabilità della Paralisi Ad Arti Inferiori, Sfinteri E Vescica, benché non Glielo chieda, più, da tanto, esplicitamente, nelle mie preghiere (non per stanchezza, non per indebolimento della mia fede, ma per il mio essere entrato in altro ordine d'idee in merito a ciò che penso che sia la Sua volontà su di me).
Mi chiedo: come mi comporterei se si verificasse un miracolo di mia guarigione?
Continuerei ad impegnarmi ad essere Cristiano coerente?
Il mio impegno è totale, ma la tentazione di svicolare, a motivo di ciò che mi vedo intorno e mi delude, è forte.
Chiudo la parentesi e proseguo.
Ho trascorso, quindi, spesso e, successivamente, per forza di cose, volentieri, la mia infanzia con adulti che con miei coetanei.
Accadeva, perciò, che parlando dei miei coetanei non l'indicassi più come miei amici X e Y, ma figli dei miei amici X e Y.
Anche molti compagni di classe, salvo alcune eccezioni, non li ho mai considerati amici veri, ma, solo, "compagni di classe": il rapporto con loro restava circoscritto nelle ore di lezione, tra le mura dell'edificio scolastico.
I compagni di classe che costituivano eccezioni e riuscivo, perciò, a considerare amici veri erano ragazzi ripetenti al Liceo.
Ero dispiaciuto per la loro condizione di ripetenti, ma con loro stavo bene: li ricordo tutti con affetto.
Tentavo d'invitare compagni di classe a casa mia, ma mi rispondevano di scusarli a causa degli "allenamenti" o, ancora peggio, accettavano il mio invito, ma, poi, non venivano senza preavviso.
Prediligevo, perciò, i giorni di scuola a quelli di vacanza, le ore di lezione alla pausa di ricreazione.
Dico, ora, in riferimento agli amici, al trattamento che alcuni mi hanno riservato: come mi sarei comportato al loro posto?
Mi è difficile rispondere, ma non impossibile.
Prendo, come spunto di riflessione, la Parabola del Buon Samaritano.
Credo che mi comporterei come il Dottore della Legge ed il Levìta dinanzi all'ipotesi di offrire aiuti immediati (che, naturalmente, rientrino nelle mie capacità) a neurolabili mentre cercherei di comportarmi come il Buon Samaritano dinanzi ai disabili fisici, considerando i miei limiti e le mie risorse.
Mi spaventa il rischio che potrei correre nel contatto coi neurolabili.
La constatazione che i normodotati mi tengano a distanza, spesso, immagino, per paura di coinvolgimenti emotivi miei o loro senza ritorno nel mentre i neurolabili mi vengono incontro, con fiducia, al punto che, senza volerlo e capirlo, finiscono col soffocarmi, mi mortifica, invece.
Non voglio sembrare insensibile dinanzi ai neurolabili.
Aiuterei, semmai, economicamente le associazioni di studio e ricerca di queste condizioni genetiche e di assistenza ai neurolabili se mi si presentasse l'occasione.
Eventualità e certezza di avere una buona amicizia (che ho, per ora, solo, parzialmente, con pochi amici di provata fiducia e lealtà) con chi conosco e che mi conosce mi sarebbe, sicuramente, di aiuto nel tentativo di affrontare l'incognita dell'instaurazione di una buona amicizia ravvicinata coi neurolabili.
Ritorno, ora, alla narrazione principale.
Anch'io m'isolavo, temevo di essere di troppo, cercavo, magari, motivi validi che potessero giustificarmi: non riuscivo a trovarli che in bisogni, sempre maggiori, di comunioni, sempre più intime, con Dio Creatore, da concretizzarsi in comunioni, sempre più intime, con ogni Sua creatura.
Ho fatto l'esempio di ciò che, spesso, mi accadeva durante feste organizzate dai miei genitori.
Ho detto, altrove: "Anch'io m'isolavo, temevo di essere di troppo, cercavo, magari, motivi validi che potessero giustificarmi: non riuscivo a trovarli che in bisogni, sempre maggiori, di comunioni, sempre più intime con Dio Creatore da concretizzarsi in comunioni, sempre più intime, con ogni Sua creatura".
Perché ho voluto evidenziare l'esempio accennato nel primo periodo accostandolo al secondo, subito dopo, trascritto?
L'ho fatto per segnalare la loro stretta connessione.
Credo di avere capito, infatti, che se, da una parte (quella, parzialmente, sbagliata) venivo emarginato e reagivo isolandomi, dall'altra, comunque, sempre, sbagliata, sceglievo di emarginarmi per evitare, per paura, che fossero altri ad emarginarmi, ma credo di avere capito anche che il mio atteggiamento d'isolamento come risposta verso l'emarginazione operata da altri verso di me fosse motivato non da sentimenti di vendetta, ma di rispetto verso di loro, verso l'altrui libertà, dall'esigenza di non opprimerli, non condizionarli con la mia presenza.
Credo di avere capito, inoltre, che il mio atteggiamento d'isolamento, che altro non era che esigenza di esperienza di solitudine, fosse dettato dalla consapevolezza del rischio dell'attaccamento alle persone, non potere più farne a meno, non riuscire più a vivere esperienze di vita autonome.
Perché ho scritto queste cose?
Per mettere nero su bianco ciò che ritengo valido.
Per tentare di modificare le mie opinioni lapidarie, verso giovani, miei coetanei.
Per mettermi dinanzi alle mie responsabilità per quanto mi è successo.
Per rendere lode a Dio Padre per le belle esperienze vissute.
Per fare capire che quanto ho scritto vuole essere una mano tesa verso chiunque, giorno dopo giorno, voglia stringermela.
Perché a nessuno, soprattutto, ai giovani accada di pensare al sottoscritto nel modo seguente: "Pecchio? E chi è? Ah, sì! E' quello dei vecchi!"
Vorrei che si capisse che se decido di raccontarmi, lo faccio nella consapevolezza entusiasta ma prudente di compiere atti di fiducia, di amicizia verso tutti.
Mi dispiace quando mi accorgo di chi considera la mia volontà di amicizia come qualcosa da prendere, portare a casa, chiudere a chiave in un cassetto per non pensarci più e buttare via la chiave.
La passione che si potrà intravedere in ciò che ho scritto non deve spaventare: non intendo attaccarmi a chicchessìa.
Il fatto (spiacevole per me) è che molte giovani e molti giovani mi tengono a distanza o ignorano le mie proposte, offerte di amicizia tramite, ad es., ciò che sto scrivendo, che desidero che si conosca di me perché, non conoscendomi in profondità, ma, solo, superficialmente, ritengono inconcepibile che, nel concepire i miei rapporti interpersonali e, soprattutto, intersessuali e, infine, nell'elaborare strategìe per concretizzarli possa pormi obiettivi diversi da quelli che la maggioranza delle persone, degli uomini si pongono.
Spero che si possa capire che le mie diversità non stanno nelle mie disabilità, ma in ciò che sto raccontando di me.
Mi dispiace di non avere parlato, affatto, di quella bellissima "presenza silenziosa e discreta" che è, tuttora, nella mia vita, Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo di Lisieux, ma sono convinto che sia contenta, ugualmente.
Ho scritto, per la prima volta, molte di queste considerazioni a 28 anni.
Mi è venuto spontaneo criticare, perciò, i giovani: ero uno di loro.
La mia critica riguardava, in realtà, e riguarda, tuttora, i miei coetanei quando avevamo 10, 20, 30 anni e ancora adesso che abbiamo superato i 50.
Ho potuto constatare, in oltre 50 anni di vita, di avere avuto ottimi rapporti di amicizia, soprattutto, con chi ha 10 anni meno di me e anche con chi ha 1 anno di più o di meno.
Ripeto che ricordo, con affetto, alcuni ragazzi ripetenti, in classe con me, al Liceo.
I ragazzi di 10 anni più giovani erano, invece, i Chierichetti che prestavano servizio, con me, in Pieve.
I ragazzi di 1 anno più giovani erano, invece, i Catechisti con cui condividevo anche l'esperienza estiva di Cavallico.
I miei coetanei mi hanno deluso, invece, continuano: sono stati, soprattutto, loro ad equivocare sulla mia situazione, il suo evolversi così come si presentava, periodicamente, ai loro occhi; a sentenziare, senza appello, dinanzi alla mia situazione, il suo evolversi, che non avessi più bisogno di loro e, ancora peggio, quando ne avessi avuto bisogno; ad aiutarmi, di conseguenza, quando non l'avevo chiesto.
Non ne sentivo, infatti, bisogno: volevo affrontare da solo il rischio di alcune esperienze nuove di amicizia.
Non dico che non voglio, da ora in poi, l'aiuto di qualcuno.
Voglio, solo, sentirmi libero di scegliere se essere aiutato, quando e da chi.
Pecchio
Edited by Luca Lapi - 6/6/2018, 22:06
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