1. Macropresentazione di Pecchio (all'anagrafe: Luca Lapi)

    By Luca Lapi il 28 Aug. 2012
     
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    6 Giugno 2018

    Mi chiamo Pecchio (all'anagrafe: Luca Lapi).
    Sono nato il 17 Marzo 1963.
    Sono giovane?
    Penso di no nella misura in cui lo è, biologicamente, chi ha un'età compresa tra 0 e 50 anni, ma la domanda più importante è: mi sento giovane?
    Penso di sì, ma temo anche di no, nella misura in cui è giovane chi si sente, psicologicamente, tale, indipendentemente dall'età biologica, a suo agio con chiunque e riesce, spontaneamente, a stabilire con chiunque rapporti di reciproca fiducia che sappiano affrontare la prova del tempo, vittoriosamente.
    Penso di sì perché mi sento, ad es., più a mio agio con chi è, attualmente, coetaneo del mio babbo (ultraottantenne), ma la mia predilezione è per gli ultranovantenni.
    Temo di no perché, salvo poche eccezioni, mi sento più a disagio con chi è più vicino alla mia età, mio coetaneo, soprattutto.
    Perché mi sono trovato in queste situazioni?
    Sono disabile (con Paralisi Congenita Ad Arti Inferiori, Sfinteri E Vescica).
    Ripeto: perché mi sono trovato in queste situazioni?
    Sono convinto di trovare risposta nella diversa sensibilità dei miei interlocutori (femmine e maschi).
    I genitori dei miei "amici" restavano, infatti, coi miei genitori e con me senza isolarmi ed io coi genitori dei miei "amici" e coi miei genitori senza sentirmi isolato.
    I miei "amici m'isolavano, invece (forse, involontariamente): era ovvio che preferissero giochi motori anziché sedentari.
    Occorre che apra una parentesi sulle mie disabilità, ora.
    L'esperienza che ne è derivata mi ha portato a considerare, inizialmente, questa mia condizione genetica un problema con cui sarei stato costretto, per sempre, a convivere e, convivendoci, mi avrebbe portato ad autocommiserarmi, spesso.
    Mi ha portato a non vederne, da piccolo, che i lati negativi: sedia a rotelle che consideravo vergogna a motivo del dito puntato dai bambini normodotati più piccoli contro di me, incontrandomi, non potere fare ciò che altri potevano quando e quanto volevano, ma, a posteriori, a vederne anche i lati positivi: le mie disabilità possono essere risorse a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere.
    Mi ha portato, in altre parole, ad intravedere le diverse abilità, apparentemente, nascoste nelle mie disabilità: non posso camminare con le gambe, ma con la mente, col Cuore e con l'Anima.
    Ho capito tutto, da adulto, delle mie disabilità: le ho accettate e, grazie alla mia fede cristiana, le ho accolte come doni d'amore misteriosi di Dio Padre, non Suoi castighi.
    Non mi vergogno più, perciò, incontrando, oggi, sulla mia sedia a rotelle, bambini normodotati che si comportano come quelli di un tempo: non provo che dispiacere, non per me, ma per codesti bambini che considero insufficientemente educati dai genitori o dalla scuola al rispetto per tutti.
    Provo dispiacere, inoltre, per tutti i bambini e adulti che convivono, con disagio, con la loro diversità fisica e che, a motivo delle loro emotività e sensibilità, soffrono dinanzi ad esternazioni, più o meno innocenti, di alcuni bambini normodotati verso di loro.
    Ho imparato, col tempo, in qualche modo, ad ignorare tali esternazioni, ma penso che molti altri bambini e adulti disabili non ci siano riusciti e mi sento solidale con ciascuno di loro, perciò.
    Non intendo dire che, oggi, quelle esternazioni mi avviliscano, quando dico "...IN QUALCHE MODO...", ma, piuttosto, il constatare che mi piovano addosso in momenti e/o periodi di sofferenza a causa dell'isolamento impostomi da chi, normodotati, consideravo amici.
    L'ironia è che loro non arrivino ad accorgersi di essere responsabili del mio isolamento.
    Si tende a educare, giustamente, scolari e studenti al rispetto verso gli extracomunitari, loro compagni di classe, ma si tende a trascurare l'educazione al rispetto dei disabili.
    Mi chiedo e chiedo, perciò, che si possa fare affinché, un giorno, ciò che ho descritto non accada più.
    Appaio ossessionato, ma non mi pare esagerato pensare che il dito puntato dai bambini normodotati contro i "disabili" possa diventare, un giorno, senza un'adeguata educazione in merito, una mano che impugna una vera e propria arma pronta a sparare contro chi è colpevole, solo, della sua diversità fisica.
    Sono più sensibile verso chi vive situazioni di disagio peggiori.
    La percezione della mia sensibilità è stata importante.
    Ripeto, infatti, che ho recepito le mie diversità fisiche non più come problemi, ma risorse da porre a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere.
    Apro una parentesi.
    Ho definito le diverse abilità:"RICCHEZZE DA CONDIVIDERE".
    Anche affetto, amicizia ed amore lo sarebbero, ma c'inducono a chiuderci in noi come se temessimo che, condividendoli, possano volatilizzarsi, quando li si prova.
    Si degenera, così, da affetto, amicizia ed amore reciproci in egoismo di coppia o, addirittura, di gruppo.
    Si degenera da "CONDIVISIONE" in "DIVISIONE".
    Dico, alla maniera di Adriano Celentano:"DIVISIONE è lenta e CONDIVISIONE è rock".
    "CONDIVISIONE" è assente giustificata a lezioni dell'Università dell'Età Libera della Vita, purtroppo.
    Troppi si giustificano: "Sono sano: non ho tempo per malati; sono normodotato: non ho tempo per per chi abbia difficoltà fisiche; sono studente, studioso: non ho tempo per gli ignoranti, per chi abbia smesso di studiare, per chi abbia finito di studiare; sono lavoratore: non ho tempo per disoccupati, licenziati, pensionati; sono accoppiato, sposato, convivente: non ho tempo per i "single", per i separati, per i divorziati; sono genitore: non ho tempo per chi non lo è; sono figlio: non ho tempo per gli orfani!"
    La "CONDIVISIONE" soccombe quando chiunque abbia responsabilità educatrici civili o religiose non provvede affinché ciò che ho descritto non accada più.
    Chiudo la parentesi.
    Mi convinco, infatti, che il mio nascere con la Paralisi Ad Arti Inferiori, Sfinteri E Vescica corrisponda a misteriosi doni di Dio Padre che mi svela, di volta in volta, particolari sia negativi, in parte, relativamente, minore, sia positivi, in parte, infinitamente, maggiore.
    Non posso che affidarmi a Lui: ne sono contento, ma questa mia dichiarazione m'induce a continuare a riflettere.
    La mia fede m'induce a pensare, in futuro, ad un disegno di Dio Padre di mia guarigione dalla disabilità della Paralisi Ad Arti Inferiori, Sfinteri E Vescica, benché non Glielo chieda, più, da tanto, esplicitamente, nelle mie preghiere (non per stanchezza, non per indebolimento della mia fede, ma per il mio essere entrato in altro ordine d'idee in merito a ciò che penso che sia la Sua volontà su di me).
    Mi chiedo: come mi comporterei se si verificasse un miracolo di mia guarigione?
    Continuerei ad impegnarmi ad essere Cristiano coerente?
    Il mio impegno è totale, ma la tentazione di svicolare, a motivo di ciò che mi vedo intorno e mi delude, è forte.
    Chiudo la parentesi e proseguo.
    Ho trascorso, quindi, spesso e, successivamente, per forza di cose, volentieri, la mia infanzia con adulti che con miei coetanei.
    Accadeva, perciò, che parlando dei miei coetanei non l'indicassi più come miei amici X e Y, ma figli dei miei amici X e Y.
    Anche molti compagni di classe, salvo alcune eccezioni, non li ho mai considerati amici veri, ma, solo, "compagni di classe": il rapporto con loro restava circoscritto nelle ore di lezione, tra le mura dell'edificio scolastico.
    I compagni di classe che costituivano eccezioni e riuscivo, perciò, a considerare amici veri erano ragazzi ripetenti al Liceo.
    Ero dispiaciuto per la loro condizione di ripetenti, ma con loro stavo bene: li ricordo tutti con affetto.
    Tentavo d'invitare compagni di classe a casa mia, ma mi rispondevano di scusarli a causa degli "allenamenti" o, ancora peggio, accettavano il mio invito, ma, poi, non venivano senza preavviso.
    Prediligevo, perciò, i giorni di scuola a quelli di vacanza, le ore di lezione alla pausa di ricreazione.
    Dico, ora, in riferimento agli amici, al trattamento che alcuni mi hanno riservato: come mi sarei comportato al loro posto?
    Mi è difficile rispondere, ma non impossibile.
    Prendo, come spunto di riflessione, la Parabola del Buon Samaritano.
    Credo che mi comporterei come il Dottore della Legge ed il Levìta dinanzi all'ipotesi di offrire aiuti immediati (che, naturalmente, rientrino nelle mie capacità) a neurolabili mentre cercherei di comportarmi come il Buon Samaritano dinanzi ai disabili fisici, considerando i miei limiti e le mie risorse.
    Mi spaventa il rischio che potrei correre nel contatto coi neurolabili.
    La constatazione che i normodotati mi tengano a distanza, spesso, immagino, per paura di coinvolgimenti emotivi miei o loro senza ritorno nel mentre i neurolabili mi vengono incontro, con fiducia, al punto che, senza volerlo e capirlo, finiscono col soffocarmi, mi mortifica, invece.
    Non voglio sembrare insensibile dinanzi ai neurolabili.
    Aiuterei, semmai, economicamente le associazioni di studio e ricerca di queste condizioni genetiche e di assistenza ai neurolabili se mi si presentasse l'occasione.
    Eventualità e certezza di avere una buona amicizia (che ho, per ora, solo, parzialmente, con pochi amici di provata fiducia e lealtà) con chi conosco e che mi conosce mi sarebbe, sicuramente, di aiuto nel tentativo di affrontare l'incognita dell'instaurazione di una buona amicizia ravvicinata coi neurolabili.
    Ritorno, ora, alla narrazione principale.
    Anch'io m'isolavo, temevo di essere di troppo, cercavo, magari, motivi validi che potessero giustificarmi: non riuscivo a trovarli che in bisogni, sempre maggiori, di comunioni, sempre più intime, con Dio Creatore, da concretizzarsi in comunioni, sempre più intime, con ogni Sua creatura.
    Ho fatto l'esempio di ciò che, spesso, mi accadeva durante feste organizzate dai miei genitori.
    Ho detto, altrove: "Anch'io m'isolavo, temevo di essere di troppo, cercavo, magari, motivi validi che potessero giustificarmi: non riuscivo a trovarli che in bisogni, sempre maggiori, di comunioni, sempre più intime con Dio Creatore da concretizzarsi in comunioni, sempre più intime, con ogni Sua creatura".
    Perché ho voluto evidenziare l'esempio accennato nel primo periodo accostandolo al secondo, subito dopo, trascritto?
    L'ho fatto per segnalare la loro stretta connessione.
    Credo di avere capito, infatti, che se, da una parte (quella, parzialmente, sbagliata) venivo emarginato e reagivo isolandomi, dall'altra, comunque, sempre, sbagliata, sceglievo di emarginarmi per evitare, per paura, che fossero altri ad emarginarmi, ma credo di avere capito anche che il mio atteggiamento d'isolamento come risposta verso l'emarginazione operata da altri verso di me fosse motivato non da sentimenti di vendetta, ma di rispetto verso di loro, verso l'altrui libertà, dall'esigenza di non opprimerli, non condizionarli con la mia presenza.
    Credo di avere capito, inoltre, che il mio atteggiamento d'isolamento, che altro non era che esigenza di esperienza di solitudine, fosse dettato dalla consapevolezza del rischio dell'attaccamento alle persone, non potere più farne a meno, non riuscire più a vivere esperienze di vita autonome.
    Perché ho scritto queste cose?
    Per mettere nero su bianco ciò che ritengo valido.
    Per tentare di modificare le mie opinioni lapidarie, verso giovani, miei coetanei.
    Per mettermi dinanzi alle mie responsabilità per quanto mi è successo.
    Per rendere lode a Dio Padre per le belle esperienze vissute.
    Per fare capire che quanto ho scritto vuole essere una mano tesa verso chiunque, giorno dopo giorno, voglia stringermela.
    Perché a nessuno, soprattutto, ai giovani accada di pensare al sottoscritto nel modo seguente: "Pecchio? E chi è? Ah, sì! E' quello dei vecchi!"
    Vorrei che si capisse che se decido di raccontarmi, lo faccio nella consapevolezza entusiasta ma prudente di compiere atti di fiducia, di amicizia verso tutti.
    Mi dispiace quando mi accorgo di chi considera la mia volontà di amicizia come qualcosa da prendere, portare a casa, chiudere a chiave in un cassetto per non pensarci più e buttare via la chiave.
    La passione che si potrà intravedere in ciò che ho scritto non deve spaventare: non intendo attaccarmi a chicchessìa.
    Il fatto (spiacevole per me) è che molte giovani e molti giovani mi tengono a distanza o ignorano le mie proposte, offerte di amicizia tramite, ad es., ciò che sto scrivendo, che desidero che si conosca di me perché, non conoscendomi in profondità, ma, solo, superficialmente, ritengono inconcepibile che, nel concepire i miei rapporti interpersonali e, soprattutto, intersessuali e, infine, nell'elaborare strategìe per concretizzarli possa pormi obiettivi diversi da quelli che la maggioranza delle persone, degli uomini si pongono.
    Spero che si possa capire che le mie diversità non stanno nelle mie disabilità, ma in ciò che sto raccontando di me.
    Mi dispiace di non avere parlato, affatto, di quella bellissima "presenza silenziosa e discreta" che è, tuttora, nella mia vita, Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo di Lisieux, ma sono convinto che sia contenta, ugualmente.
    Ho scritto, per la prima volta, molte di queste considerazioni a 28 anni.
    Mi è venuto spontaneo criticare, perciò, i giovani: ero uno di loro.
    La mia critica riguardava, in realtà, e riguarda, tuttora, i miei coetanei quando avevamo 10, 20, 30 anni e ancora adesso che abbiamo superato i 50.
    Ho potuto constatare, in oltre 50 anni di vita, di avere avuto ottimi rapporti di amicizia, soprattutto, con chi ha 10 anni meno di me e anche con chi ha 1 anno di più o di meno.
    Ripeto che ricordo, con affetto, alcuni ragazzi ripetenti, in classe con me, al Liceo.
    I ragazzi di 10 anni più giovani erano, invece, i Chierichetti che prestavano servizio, con me, in Pieve.
    I ragazzi di 1 anno più giovani erano, invece, i Catechisti con cui condividevo anche l'esperienza estiva di Cavallico.
    I miei coetanei mi hanno deluso, invece, continuano: sono stati, soprattutto, loro ad equivocare sulla mia situazione, il suo evolversi così come si presentava, periodicamente, ai loro occhi; a sentenziare, senza appello, dinanzi alla mia situazione, il suo evolversi, che non avessi più bisogno di loro e, ancora peggio, quando ne avessi avuto bisogno; ad aiutarmi, di conseguenza, quando non l'avevo chiesto.
    Non ne sentivo, infatti, bisogno: volevo affrontare da solo il rischio di alcune esperienze nuove di amicizia.
    Non dico che non voglio, da ora in poi, l'aiuto di qualcuno.
    Voglio, solo, sentirmi libero di scegliere se essere aiutato, quando e da chi.


    Pecchio

    Edited by Luca Lapi - 6/6/2018, 22:06
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  1. Vanna Cavaciocchi
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    Mi dovrai dare l'autorizzazione per chiamarti Pecchio, comunque Luca.. complimenti per essere quello che sei, un magico scrittore e la persona splendida che ti riveli attraverso queste parole. Io, io sono una cacca rispetto a te! Se vuoi sapere qualcosa di più senza mediazione da parte di alcuno, attaccati al telefono e chiedi alla "nostra" Marta! Lei è una Donna con la D maiuscola e un giusto giudice. Altro non ti posso dire, mi hai lasciato basita! Se lo accetti.....un bacio grosso, Vanna.
     
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    Monica Masetti 23 Settembre 2009 Caro Luca, è tanto tutto quello che hai scritto, lo rileggerò più volte, fa pensare! Purtroppo è vero che si diventa egoisti quando si ha famiglia e ci si scorda dei diversabili, ma di tante persone in generale. Un errore che io sto cercando di evitare di nuovo, dico di nuovo, perché era un po' successo nel mio primo matrimonio. Quando mi sono separata nel 1996 ero rimasta sola come un cane e ho dovuto ricominciare da capo. Ho trovato un gruppo di persone, tutte single, fra queste una carissima amica diversabile, paralizzata nelle gambe, ma con uno spirito!!! Da invidia!!! Da lei ho veramente appreso tante cose e siamo entrate in una tale sintonia, che non ci perderemo mai, famiglie o non famiglie e così sto cercando di fare con tutti gli altri amici che ho e che nei momenti brutti ci sono stati. Il fatto secondo me, ma dovremmo approfondire, riguarda il sentimento, questo non dipende dal Tuo stato fisico. Mi spiego meglio: Da ragazzini puoi privilegiare determinate persone per le possibilità di cose da fare, ma da grande le persone che privilegi sono quelle con cui hai la famosa comunione dei sensi e questo non dipende da niente di fisico, è puramente mentale. Io ho molti amici con difficoltà fisiche, un mio carissimo amico con spina bifida e molte malattie connesse e no, non voglio perderli mai!!! L'ho trovato e me lo tengo stretto, vale per A. e per N.. Purtroppo N. vive in casa famiglia e non può muoversi molto, data la sua non indipendenza nel gestirsi, ma quando ci troviamo e parliamo ci capiamo, anche se non riesce quasi più a dire parola, dagli sguardi e la sintonia è a prescindere. Ti voglio confessare che quando eravamo piccoli ero un po' gelosa, perché mi pareva che fossi più amico dell'A. che mio!!! Certe volte ho pensato di rimanerTi un po' antipatica, mah!!! Eravamo dei ragazzini e i ricordi sono lontani, ma Ti ho pensato sempre in questi anni con affetto, l'affetto di un amico. Un amico esattamente uguale a altri cari amici. Purtroppo ci siamo persi di vista. Mi sa che verrò a trovarTi a Borgo e se Te la sentirai vorrei che venissi a trovarmi a conoscere S. e E., avremo modo di approfondire il discorso, che non è per niente semplice, ora Ti saluto, tutto il giorno a spippolare su fb, che vagabonda!!!
     
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    Lily Agnes Nofx 5 Novembre 2009 Ciao Luca, forse tu non ti ricordi di me ma io sì...mi ricordo di quando venivo da bambina ai salesiani per fare catechismo o per giocare con gli amici...è lì che ti ho visto spesso. Ho voluto leggere quanto hai scritto...Beh...che dire...certe situazioni di egoismo, di coppia o di gruppo ci sono sempre più...e purtroppo non solo verso i diversabili, in questo mondo fatto di immagine la "discriminazione" può essere basata anche solo sugli abiti che uno indossa, un tempo da bambini tutti giocavano con tutti...era normale, e non importava se eri ricco, povero, bianco, nero o diversabile...ci si voleva bene e basta, si stava bene insieme...crescendo purtroppo viene maturato il senso "estetico" e nascono le discriminazioni...per ogni minima bazzecola...questo per colpa dei genitori...che per primi "insensibili" trasmettono i cattivi insegnamenti ai figli...Io credo che ci vorrebbe molta sensibilizzazione verso questa tematica...credo che ogni persona sia a modo suo speciale indifferentemente da come si presenta, diversabile o no...purtroppo ai giorni nostri è difficile trovare persone che la pensano così...perlopiù si tratta di persone che predicano bene e razzolano male o che come dici tu...danno affetto o amicizia a termine...e poi prendono e mettono tutto in un cassetto...si dimenticano della persona in questione e delle esperienze vissute insieme...Per fortuna ci sono anche le eccezioni...e sicuramente tra queste ci sono le persone a te care...e credo che nel tuo percorso ne troverai ancora...Per quanto riguarda gli anziani, beh credo ed ho sempre creduto che loro siano la nostra ricchezza...sono spesso la compagnia migliore che potremmo desiderare, sanno tante cose, e sono pronti a regalarci un po' del loro sapere...sempre...senza chiedere nulla in cambio...Beh...Ti mando un saluto...e se mi capiterà di incontrarti magari faremo 2 chiacchiere. Buona Vita!

    Patrizia Poli 29 Novembre 2009 Ciò che tu hai vissuto, a causa della tua malattia, molti lo vivono per carattere, per problemi familiari, per circostanze diverse. Non pensare che la difficoltà a fare amicizia, a intrecciare legami forti e duraturi, sia solo dovuta a tue difficoltà motorie. La solitudine è una piaga che affligge anche gli insospettabili e spesso è autoimposta, autovissuta da chi, come te, ha un eccesso di sensibilità. Un bacio.

    Manuel Balestrucci 12 Febbraio 2010 Non c'è molto da aggiungere...sei una bella persona!...Io credo nella sincerità!...continua così!!
     
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    Annalisa Osto 16 Maggio 2010 La tua disabilità ti ha posto davanti enormi ostacoli e dure prove ma non ti ha impedito di essere una persona trasparente, vera e ricca di amore. Forse troppo sensibile ma non è una colpa. Ce ne fossero di persone con metà della tua sensibilità...Bravo Luca, sei un bellissimo esempio da imitare!!!
     
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    Luigi Cancrini L'Unità Commenti 18 Settembre 2006 Capita difficilmente di incontrare testimonianze come la sua. Parlare dell'handicap dall'interno non è semplice. Raro è soprattutto che se ne parli senza rabbia e senza rivendicazioni: con la pacatezza e la pazienza con cui ne parla lei. Dando un insegnamento importante a chi dell'handicap parla o ha paura di parlare ma di handicap non ha esperienza o consapevolezza diretta. Perché, lo diceva Franco Basaglia, dovremmo permetterci di parlare di handicap e di handicappati solo dopo aver incontrato il nostro, di handicap. E non tutti lo incontrano, purtroppo, perché la tendenza forte dell'essere umano è sempre quella di non vedere i suoi punti di debolezza, l'handicap interno o esterno da cui è limitato. Da qui bisogna partire, forse, per capire perché è così difficile educare i bambini al rispetto del diverso anche qui, in Italia dove l'inserimento dei bambini diversi nelle scuole viene praticato regolarmente e per legge da più di 30 anni. Insegnanti di sostegno e gruppi di lavoro con l'handicap (G.L.H.) nascono da qui, dalla decisione con cui si superarono, allora, i ghetti delle classi differenziali e speciali e costituiscono una parte significativa ed importante delle attività di una scuola materna o elementare. Dando un contributo importante all'educazione del cittadino di domani. Il problema serio che dobbiamo porci, a questo punto, è quello del perché questo tipo di provvedimento non è stato e non è sufficiente ad evitare non solo e non tanto la discriminazione, aperta o strisciante, dei portatori di handicap (contro cui è importante continuare a lottare sul piano politico e amministrativo) quanto, e soprattutto, quel tipo di comportamenti basato sulla decisione o sulla commiserazione, sull'intolleranza o sul rifiuto che troppe persone continuano a manifestare nel momento in cui si incontrano con portatori di handicap. Quello che conta, da questo punto di vista, non è tanto per me, però, che il bambino indichi ai genitori l'handicappato perché il bambino indica e chiede anche quando si trova di fronte ad una stella o a un fiore che non conosce. Quello che conta è la risposta dell'adulto cui il bambino chiede. Proponendo al bambino occasioni di sviluppo molto diverse fra loro su un arco di comportamenti che va dalla vicinanza empatica alla persona che è stata colpita da un evento sfortunato alla paura di vederla, al fastidio o al bisogno di fuggire. E' sulle risposte dell'adulto e sulle emozioni che lui è capace di leggere dietro queste risposte, infatti, che il bambino struttura le sue convinzioni e i suoi comportamenti successivi. Il fattore decisivo nel determinarsi di tali risposte va ricercato, d'altra parte, nei livelli di civiltà (o di educazione) e di maturità affettiva dell'adulto che spiega o che evita di spiegare. La cosa più evidente a chi guarda con occhi di clinico all'adulto spaventato, a quello che non crede o non sa rispondere e che insegna al bambino soltanto il fastidio e la paura, è, in effetti, la sua difficoltà a definirsi con esattezza di fronte a sè stesso. Sono persone con problemi d'identità sessuale i nemici più accaniti degli omosessuali o dei transessuali. Sono persone con problemi importanti (e coperti) di patologia del senso morale quelli che inflessibilmente e rabbiosamente gridano la necessità di punire in modo esemplare chi commette dei reati. Sono persone di poca fede quelle che danno vita alle Inquisizioni o alle guerre sante. Sono persone profondamente malate dentro quelle che si spaventano o diventano aggressive di fronte ad un portatore di handicap. Perdendo l'occasione di incontrare sé stessi nella dimensione del rapporto con chi viene da una esperienza diversa dalla loro. Perdendo soprattutto la possibilità di arricchirsi nel confronto con persone che possono insegnare loro un modo diverso di vivere il tempo che abbiamo insieme la fortuna di poter vivere in un mondo che è bello solo se è di tutti.
     
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    Sabina Negri Di tutto La posta del cuore 3 Ottobre 2008 "I bambini sono crudeli, i più crudeli di tutti. Ma con me non osano: io li metto a tacere con questo bastone": è una citazione dal mio spettacolo "Al Moulin Rouge con Toulouse Lautrec". Nella ricerca che ho fatto su questo grande pittore c'era il suo rapporto con i bambini. Lui non era cresciuto fisicamente ma ha segnato, attraverso la sua arte, il passaggio tra l'Ottocento e il Novecento. Ha creato quella che oggi si chiama "pubblicità". Le sue locandine sono state esposte in tutto il mondo, i suoi quadri li puoi trovare in ogni museo. Quando ho letto la tua lettera ho capito ancora meglio questo personaggio e ti ringrazio per avermene dato l'opportunità. Anche lui si definiva "portatore di handicap", ma ha regalato al mondo ciò che pochi artisti possono vantarsi di aver donato. Non è ciò che il fisico rappresenta a doverci dettare la misura delle cose, ma è quello che noi siamo. E se gli altri non ci apprezzano peggio per loro. Dobbiamo portare avanti la nostra diversità, che non è solo quella fisica ma anche quella psicologica. Nell'omologazione non c'è mai stata arte. Da Van Gogh a Bukowski comprendiamo che la diversità ha premiato la cultura. Chissenefrega della famiglia perfetta, dei figli belli, della mamma realizzata, se non riusciamo a dare un nostro messaggio al mondo. Leopardi, l'ultimo dei poeti, si definì uno sgorbio, ma nessuno se n'è accorto. La sua grandezza interiore è stata tale da superare l'estetica. Un giorno la festa comincerà anche per te. Quando arriverà quel giorno avrai qualcosa che gli altri non hanno.

    21 Dicembre 2009 Caro Luca, mi chiamo Silvia e ho capito quello che hai scritto nella lettera che ci ha letto la nostra catechista. Ho capito che, specialmente da piccolo ti sentivi solo. Anche io da piccola, quando ero in prima elementare e alla materna, mi sentivo così, anche se non sono disabile, mi sono spesso sentita esclusa dal gruppo perché magari non giocavano con me e mi emarginavano. Da quando vado in seconda questi problemi non li ho più e ho tante amiche che mi consolano o mi capiscono. Spero che anche tu abbia tanti amici, ma comunque sappi, che hai appena avuto una nuova amica, e sono io! Saluti da Silvia P.S.: Per il Natale ti starò vicino e anche per sempre.

    21 Dicembre 2009 Ciao Luca, sono Diego, sono a catechismo, capisco la tua scrittura, ti sto scrivendo, ho sentito la tua lettera via mail che mi ha dato la mia catechista Silvia, e la tua lettera era bellissima. Nella tua lettera mi ha fatto soprattutto dispiacere sapere che tu non riesci a camminare bene, dalla tua lettera ho capito che non bisogna ridere quando non è necessario. Diego
     
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    21 Dicembre 2009 Ciao Luca, mi dispiace della tua situazione di disabilità ma adesso mi puoi considerare tua amica. La nostra catechista Silvia ci ha letto la lettera che le hai scritto via computer, penso che stai vivendo una situazione difficile e spero che questa lettera ti faccia piacere, dalla tua lettera ho capito veramente come sia brutto puntare il dito e mettersi a ridere e come l'amicizia sia una cosa importantissima, come dici tu non da portarsela a casa e metterla in un cassetto per poi chiuderla a chiave. Mio zio è disabile, tipo come te, ma io con lui mi diverto e per me non è diverso e così non lo sei tu. Con le mie amiche mi racconto degli episodi buffi della mia vita a volte, e te ne vorrei raccontare uno: era la festa di Berni, il mio fratellino piccolo, e lui doveva parlare un sacco di volte al telefono, il mio nonno parla solo di alcol e ha cominciato a parlare con Berni, lui non voleva più parlare e abbiamo fatto parlare Anto, un altro fratello, e ci siamo messi a ridere. Ho capito pure che non devo aver paura di una bambina che parla male di tutti! Sento che mi sei vicino, ti voglio bene. Ciao Grazie Emilia

    21 Dicembre 2009 Caro Luca, io mi chiamo Arianna, dopo aver letto la tua lettera ho riflettuto molto e sono arrivata ad una conclusione: hai bisogno urgente di qualcuno che ti stia vicino, non come aiutante ma come amico. Io sarei molto contenta, felice, entusiasta di essere tua amica. Vorrei che tu sapessi che per Natale e per tutta la tua vita io sarò con te e spero di sentirti presto attraverso la posta elettronica che ci leggerà la nostra catechista Silvia Mattarelli. Comprendo le tue condizioni e credo che tu abbia ragione. P.S. Anche se non ho ancora avuto l'occasione di incontrarti potrai contare su di me, a 100 km da te. Arianna

    21 Dicembre 2009 Ciao Luca, la lettera che ci hai scritto via mail ci ha emozionati molto. Mi è dispiaciuto sentire dei bambini che ridevano di te ma tanto quei bambini non hanno cervello. La tua lettera mi ha fatto capire che non devo avere paura delle persone che nell'aspetto sembrano diverse, ma in realtà sono uguali a noi. Mi dispiace che ti senti solo e cercheremo di aiutarti e di dimostrati la nostra amicizia. Viola

    21 Dicembre 2009 Caro Luca, ti voglio scrivere, mi dispiace che tu ti senta così solo, nonostante la tua situazione, che capisco perché mia zia è handicap, perché ha avuto un ictus, e da quel momento in poi gli amici che aveva mia zia guarda caso sono "scomparsi", così mia zia è rimasta sola, ma io cerco di starle vicino il più possibile. Perché non vuol dire che se hai una malattia gli amici che hai ti abbandonano. Si dovrebbe fare tutto al contrario, bisognerebbe stare ancora più vicino, se una persona è disabile è pur sempre una persona, non un oggetto da dimenticare! Bisognerebbe aiutare queste persone invece che fare gli egoisti. Chiedo solo questo. Con affetto Sofia

    21 Dicembre 2009 Caro Luca, mi dispiace molto della tua condizione e mi ha profondamente addolorato leggere la tua lettera. Ho capito che ti senti molto solo e che hai urgente bisogno di amici: mi piacerebbe che tu riconoscessi in me un'amica. Mi dispiace proprio che per te l'amicizia sia stata un semplice "buonasera" o "buongiorno" e spero che ora cambierai idea. A me nessuno mi ha mai preso in giro, ma posso capire la tua condizione perché ho parecchi amici presi in giro...i loro problemi però non sono nulla in confronto ai tuoi. P.S. Ricorda che noi ti stiamo vicino. P.P.S. Scrivi molto bene. Con profonda simpatia Francesca

    21 Dicembre 2009 Ciao Luca mi chiamo Alessio, per Natale cercherò di pensare a tutti i poveri, gli ammalati. Cercherò di non fare arrabbiare la mamma, il papà, i nonni, gli zii e i miei fratelli. Spero che tu incomincerai ad avere più amici e ad avere una nuova vita. Alessio

    21 Dicembre 2009 Caro Luca, mi ha colpito molto la tua lettera, so come ti puoi sentire perché mia madre era handicap, cioè non sapeva camminare, comunque aveva molti amici. Tu hai amicierché avere amici è importante: ti consolano, ti aiutano quando hai dei problemi. Sono sicuro che sei pieno di amici. Mi dispiace. Da tutti un bel saluto Federico

    21 Dicembre 2009 Caro Luca, dopo aver sentito la tua lettera mi sono commosso molto perché mi è venuto da pensare come mi sarei sentito se fossi stato al tuo posto e mi sembra sia sbagliatissimo ridere per chi non è uguale a noi. E non mi sembra neanche giusto lasciare un amico solo perché diventa disabile, anzi bisognerebbe essergli più vicino. Ciao Francesco

    21 Dicembre 2009 Caro Luca, capisco la tua condizione di vita e mi dispiace. Se le persone ignorano i tuoi lamenti e puntano il dito contro di te, sono loro i maleducati. Ho letto a catechismo con la Silvia la tua mail e credo che tu sia una persona speciale nonostante le tue diversità. Spero che ti piacciano le nostre lettere e che tu capisca che ti comprendiamo. La tua lettera mi ha commosso e credo che tu, anche se di aspetto sei diverso, tu dentro abbia un aspetto speciale. Sei stato gentile a scrivere alla Silvia le tue diversità e i tuoi problemi. Un caloroso saluto Miriam
     
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    Roberto Levi 6 Dicembre 2005 Mi hai mandato parole belle e importanti, la dimostrazione di una persona sensibile che ha saputo arricchirsi interiormente nonostante (o in virtù) delle difficili condizioni di vita e del dolore da sopportare.

    Gatto Panceri 7 Giugno 2006 Ho letto con emozione le tue parole e per me è stato pratmente impossibile non pensare alle molteplici sensazioni ed emozioni di alcuni anni fa, che hanno fatto nascere la mia canzone che certamente conoscerai "L'amore va oltre" che parla proprio di handicap. Ma ora in me, ci sono emozioni contrastanti e non posso fare a meno di dirti che in questo momento scriverei volentieri una nuova canzone che parla di handicap ma avendo come soggetto quelle persone che sono handicappate nella testa e nell'anima e che si comportano come tu stesso hai raccontato. Concludendo sii certo che non sei tu a doverti vergognare ma bensì queste persone che non hanno la più pallida idea di cosa sia "l'amore e l'altruismo".
     
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    Mons. Antonio Riboldi 31 Dicembre 2007 Ti ringrazio di tutto cuore per la serenità con cui mi racconti la durezza della vita. Non è davvero facile in questo mondo essere accolti per quello che fisicamente si è, a volte si ha interiormente ed esteriormente una bellezza ed un valore che persone fisicamente normali o belle non solo non hanno, ma usano del corpo per cancellare la bellezza che si ha solo facendone buon uso. Non è assolutamente vergogna quello di dovere avere limiti alla propria vita corporale. Si parla nella sola Italia, di centinaia di migliaia di quanti per qualche difetto sono chiamati "disabili". La vergogna non è nel come è il nostro corpo...anzi! La vergogna è nel come si usa male il nostro corpo, grande dono del Padre per un servizio ai fratelli. Come del resto fai tu e tanti altri che conosco. Non mi meraviglia neppure quell'atteggiamento di distacco che serpeggia in tanti che cercano di evitare quanti non fanno bella compagnia o sono, secondo loro, di peso. Ma nello stesso tempo incontro, spesso, comunità, persone, semplici, che si prendono cura quasi mettendosi nei loro panni e felici di condividere le sofferenze, di quanti hanno qualche handicap. Per fortuna la condivisione non è morta...anzi è il bello che si fa strada nelle piccole e grandi occasioni. Cosa c'è del resto, se uno ha fede, di più bello che essere "cirenei", nel nome di Cristo, di quanti hanno bisogno. E' come dare un poco di sé a quello che manca ad altri. Sii quindi sempre sereno. Dio ti vuole un grande bene, perché Lui ama quelli che gli uomini non sanno amare. Lui è vicino ai poveri, al punto che si fece povero nel Natale, per comunicare la sua amicizia. Se vorrà, prego ti dia dono della pienezza di salute. Lui sa quello che è bene per noi e nella preghiera sa trovare la strada per costruire la pienezza della gioia, magari anche nella pienezza della salute. Grazie perché mi hai scritto.
     
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    Bartolomeo Sorge 16 Novembre 2008 Ti ringrazio tanto per il tuo bellissimo messaggio". Nessuno di noi è nato per caso. Ciascuno di noi è un disegno meraviglioso di Dio. "Meraviglioso", perché Dio è capace di fare solo cose grandi, da Dio, appunto. Ricordo spesso l'episodio delle "zero di Giotto", raccontato dal Vasari nella sua storia degli uomini illustri. Giotto vinse il primo premio in un concorso di pittura a Firenze, perché il suo "zero", tracciato a mano libera su un foglio di carta, risultò perfetto più che se l'avesse tracciato con il compasso. Nessuno di noi sa qual'è il disegno eterno di Dio su di sé, ma anche se fosse uno "zero" sarebbe lo zero di Dio! Molto più perfetto di quello di Giotto. Venendo al tuo caso. Io non so perché il Signore ha permesso che la tua vita fosse tutto una prova. So soltanto che tu sei un disegno di Dio, che ti ama con Amore infinito di Padre. Un giorno in cielo lo capiremo. Quaggiù, intanto, non ci rimane che credere nella Parola del Figlio suo che ha mandato a morire per noi. Gesù stesso ci ha spiegato che la croce non è un castigo, ma una benedizione, anzi una missione. Le tue sofferenze (la tua solitudine affettiva) agli occhi della gente possono apparire prive di significato, in realtà esse sono un contributo prezioso di cui ha bisogno il mondo. Compi, dunque, la missione grande che il Signore ti affida, insieme a Gesù crocifisso e alla Vergine addolorata, amando e offrendo con loro. Vedo con gioia che lo Spirito Santo ti sta già insegnando ad abbandonarti all'azione misteriosa di Dio nella tua vita. Bravo! Non sentirti inutile, perché non lo sei. Noi tutti abbiamo bisogno di "missionari" come te. Sarà la Vergine Santa, la Madre della Divina Grazia, ad aprirti gli occhi e a trasformarti nel Figlio divino Gesù. E verrà anche per te il giorno in cui ringrazierai il Padre di averti scelto per una vocazione difficile, ma di tanta importanza per il Regno di Dio. Ti rimango vicino all'Altare e confido nel contraccambio della tua preghiera.
     
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    Crescenzio Sepe, arcivescovo a Napoli 21 Novembre 2008 La Sua mail è stata un vero arricchimento, dal punto di vista spiritale e umano. L'ho letta con grande avidità, qualunque espressione e ogni riflessione, anche se velate di tristezza e di delusione, nascondevano una educazione interiore oltre che civile, denotavano una formazione cristiana e tradivano, per così dire, un amore verso gli altri reso ancora più grande e di valore al confronto con la indifferenza, se non egoismo e individualismo, riscontrata in alcuni comportamenti. Nel leggere la Sua mail ho avuto la sensazione che ci conoscessimo da tempo: troppi convincimenti e troppi ragionamenti ho avvertito come un legame che ci unisce. Si percepisce chiaramente che c'è una marcia in più che viene dalla fede in Dio, dalla Parola di Cristo, che non fanno diventare superiori agli altri ma rendono certamente più forti e più robusti. Quante cose c'è da imparare da Lei, quanti insegnamenti vengono dalla Sua sofferenza, quanta lezione di vita viene dal Suo agire! La menomazione non è Sua, ma l'handicap vero lo rivelano quelli che vanno oltre le cose che contano, i superficiali, gli individualisti, gli egoisti, i falsi distratti, quelli che si comportano da farisei. La prova che l'accompagna lungo la vita l'ha reso più forte, più adulto, più umano, più sensibile. Per questo, come Lei giustamente osserva, essa non è stata una punizione ma uno strumento in più che nostro Signore Le ha concesso per farLa crescere ancora di più in bene, in sensibilità, in maturità, in amore. Le dico, pertanto, con cuore aperto e affetto paterno, non si avvilisca mai, non ceda mai di fronte agli errori o alle offese degli altri, non si faccia rubare la speranza che il mondo possa cambiare e diventare più buono. Reagisca sempre positivamente con l'esempio, con apertura agli altri, con atteggiamento di comprensione, con gesti e parole di amore. Saranno gli altri a cambiare. Dovranno capire da quale parte sta il giusto e il vero. Continui ad affidarsi a Cristo, continui a pregare, pregando anche per chi può averLa offesa. Anch'io non mancherò di ricordarLa nelle mie preghiere e, nel salutarLa con tanto affetto e con vera ammirazione, Le dico:'A Madonna t'accumpagne!
     
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    Cloris Brosca 3 Giugno 2009 Grazie della tua lettera. Sono fuori casa, in un albergo, in cui mi fanno la gentilezza di farmi controllare la posta elettronica. La tua lettera mi suscita più di una considerazione e vorrò trovare con calma il tempo per risponderti e inviarti una mia foto. Una cosa però mi viene da dirti subito: penso, come poi mi sembra che pensi anche tu, anche se non ne parli esplicitamente, , che non esistano diversità sostanziali tra le persone e che quindi quell'egoismo di cui tu parli, quella mancanza di condivisione, sia un male - forse accentuato dal tipo di vita che oggi conduciamo così "distratta" e frenetica - di cui siamo vittime un po' tutti e che un po' tutti riversiamo sull'ambiente che ci circonda. Ho sentito spesso notare analoghi atteggiamenti di chiusura, e addolorarsene, persone non diversamente abili. E penso anche che non esistano persone, organismi, a cui demandare la crescita umana di noi individui, o autorità a cui affidare la responsabilità di una crescita della generosità umana: penso che si tratti di un cammino personale che arricchisce chi lo percorre, ma a cui non si può costringere nessuno. Ti dirò di più: io stessa a volte mi sono vergognata di un mio atteggiamento poco aperto, poco generoso o disponibile verso gli altri. E' anche vero però che ognuno di noi è fallibile e che in definitiva facciamo quello che siamo in grado di fare e, soprattutto, ogni mancanza di apertura o di generosità da parte nostra è in definitiva una nostra mancata crescita, per cui ogni atteggiamento penso che sia premio o castigo a se stesso. Appena sarò di nuovo a casa, finito questo periodo di lavoro intenso che durerà fino alla fine di giugno, ho intenzione di scriverti più distesamente, ma, metto le mani avanti, non me ne volere se questo appuntamento non sarà così preciso, perchè sto attraversando un periodo di grossi mutamenti che mi impegnano parecchio. Buone cose!

    Giuseppe Cionfoli 4 Giugno 2009 Cosa dirti: non ci sono parole e le tue ragioni sono sacrosante. Per la foto stai tranquillo con l'autografo, ma vorrei dirti questo: puoi fare una cosa grande e cioè: offrire la tua immensa sofferenza a Dio per la salvezza delle anime. Ti saluto caramente.

    Alberto Fortis 13 Giugno 2009 Grazie per la tua accorata mail. Sarà mio piacere autografarti uno dei manifesti del tour che sta per cominciare e spedirtelo, mi auguro inoltre di poterti incontrare ad uno dei miei concerts, un abbraccio, siamo tutti sotto le stelle, strawberry fields forever, yes we can, thank you per la forza che ci comunichi e ci insegni.
     
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    Rino Cammilleri 13 Giugno 2009 Non credere che sia la tua condizione la causa del tuo quasi-isolamento. La solitudine (fisica) oggi colpisce tantissimi. Sennò non si spiegherebbe l'impennata sempre crescente di suicidi (pensa se abitassi, come me, a Milano). Gli introversi e i depressi, per esempio, o quelli con un carattere difficile. Io, personalmente, non frequento quasi nessuno. Al bar, la mattina, sono il solo che non scambia facezie col barman. Perché? Non mi riesce. Ognuno di noi, credimi, ha il suo handicap. Lo dico per esperienza (ho 58 anni). Altrimenti Dio non sarebbe giusto. Invece lo è. Il segreto sta tutto nel far di necessità virtù. Soffro di insonnia? Bene, così leggo. Sono un tormentato? Bene, riverso nell'arte o nella creatività la mia angoscia. E' sbagliatovoler essere "come" gli altri. E' giusto, invece, valorizzare la propria diversità per essere "meglio" degli altri. Da una parte c'è il gregge, quelli che fanno tutto quello che fanno gli altri. Io preferisco essere un'eccezione e ringrazio Dio di avermi creato come eccezione. Ho sofferto tutta la vita di non aver amici per colpa del mio caratteraccio. Ora che mi sono attrezzato per farne a meno, tanti si presentano. Ma ormai sono solo un fastidio. Proximum meum, mea poenitentia (diceva s. Tommaso d'Aquino). Dai retta a uno che è più vecchio di te: meglio soli che male accompagnati. Non troverai pace se non in un angolo con un libro, dice l'Imitazione di Cristo. E ti dò la mia parola che è verissimo. A Borgo San Lorenzo ho un amico che si chiama Pucci Cipriani. Salutamelo. A Firenze c'è un preside, Alfonso Bajo, che ha una carica importante nel Rinnovamento dello Spirito. Lo troverai sull'elenco telefonico. Siamo stati compagni di scuola. Puoi confidargli tranquillamente, anche a nome mio, quel che ti angustia. La foto te la manderò (contento tu...). Prega per me.

    Franco Califano 18 Giugno 2009 Mi scuso innanzitutto della tardiva risposta, ma con l'uscita del nuovo disco, le serate, le promozioni ecc....il tempo si riduce sempre di più. Complimenti per la tua forza d'animo e ti ammiro per la grande fede che hai e che ti sostiene. Sei un grande. Parola mia. La tua lettera è bellissima e dimostra che, come il titolo del mio nuovo cd, realmente "c'è bisogno d'amore"...e tu ne hai tanto e sei la testimonianza intelligente di ciò. Ti abbraccio forte. P.S.:Ho dato disposizioni al mio staff di inviarti la foto autografata.
     
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    Milva 20 Giugno 2009 La tua lettera è molto bella e molto complessa. Prima rispondo alla richiesta di una mia foto che in questo momento, essendo già da lungo tempo in Austria, non le ho con me, le fotografie. Vorrei mandartene una che non sia la solita cartolina. Per cui, prima devo tornare a Milano e sarà abbastanza avanti, verso il 10 agosto. Ti chiedo di pazientare e ti ringrazio. Mi trovo in Austria per un lavoro che è piuttosto una sfida con me stessa, e non il solito lavoro. Cioè, mi sono impegnata in uno spettacolo teatrale, di un autore svizzero che spero tu conosca, si chiama Friedrich Durrenmatt, il titolo è "Der Besuch der alten Dame", con una compagnia teatrale di lingua tedesca. Quindi anch'io dovrò recitare tutto in tedesco, e conosco poche parole di tedesco. L'ho solamente molto cantato. Ora mi trovo qui, certi giorni in grandi disagi. Il testo è molto difficile, forse l'avevo sottovalutato; fatto sta, che sto facendo un grande sacrificio, e grande sforzo. Ma chi me l'ha fatto fare? La mia volontà di provarmi, il mio desiderio di imparare, sottovalutando sempre i grandi sacrifici. Ecco, ti ho parlato di una piccola parte della mia vita, che è quella che sto vivendo, per dirti che a volte è difficile per tutti. La tua situazione certamente è ben più grave, e tu mi descrivi molto bene le difficoltà non solo le tue personali, ma le difficoltà che arrivano anche dagli altri. Lo capisco. Credo. Io certamente non potrò esserti di aiuto. Le nostre vite sono molto diverse, lontane, e come potrei dimostrarti una grande e vera amicizia? Anche noi in famiglia abbiamo avuto delle persone con dei problemi, e nessuno è mai stato abbandonato a se stesso. La tua lettera è così lunga anche, e stracolma di sentimento, e di fede, cosa che io non posso dire con certezza di me. Comunque, ho rubato al mio studio questo tempo che a te sembrerà breve, per risponderti. Ti lascio con la promessa della fotografia, e con tanti tanti auguri per la tua vita.
     
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